Il primo spettatore dei miei film sono io stesso.Vorrei che il pubblico e i critici piuttosto che focalizzarsi su quello che i miei film vogliano dire, pensino piuttosto ad analizzare quello che ho voluto tenere nascosto
Nagisa Oshima
1ma scena: Nella Foto di gruppo
Foto di gruppo in cui tu sorridi, io a stento riconosco me stesso.
Figurarsi in una foto.
Ogni foto che sembra un proprio mondo.
Un proprio modo
di stare al mondo.
2nda scena: Le impressioni
Quando mi guardi, mi guardi,
C’è impresso
come mi guardavi prima.
Quasi prima che nascessi.
Quando non mi guardi invece
non mi guardi proprio più.
3rza scena: Sensazioni per un mondo alla rovescia
Quando scendo dalla barca, sento come fossi ancora sulla barca.
Quando scendo dalla barca, sento come se salissi sulla barca.
Quando scendo dalla barca, la mia mente si concentra su un piccolo particolare e quasi casco in acqua.
Quando guardo dallo specchietto retrovisore, vedo uno specchietto retrovisore, sporco per giunta.
Quando guardo dallo specchietto retrovisore, ho paura che non mi dica la verità.
Quando guardo lo specchietto retrovisore, mi sveglio di soprassalto e sussulto come se tutti aspettassero che io guardi quello specchietto per punirmi con dolore.
4rta scena: per spiegare come sono arrivato a questo punto.
Se ti guardo e penso che mi stia mentendo, non sento niente.
Sento il vuoto.
Formicolio alle mani e vertigini.
Desiderio di urlare e dire “tu mi stai mentendo”.
Lo so.
Ma continuo a non saperlo.
Faccio scorrere il tempo.
Sorrido.
E mento anch’io.
Penso che mentire è come dire la verità, dipende dalla posizione
della verità rispetto alla bugia.
E’ una buona scusa penso
mentre ti guardo mentire.
Continuo a guardarti.
In quei momenti penso che se ti mentissi anche io
mentiremmo entrambi.
E potremmo ricominciare daccapo.
Senza che cambi nulla.
Ma non cambia nulla in nessun caso.
Se tu mi stai mentendo.
Non mi interessa,
Le tue menzogne non sono neanche così belle.
Ed il mio cervello si addormenta.
Poteva essere molto meglio di così.
Ma anche così va bene.
Se guardandoti penso che ti stia mentendo, non sento niente.
Sento il vuoto.
Formicolio alle mani e vertigini.
Desiderio di urlare e dire “guardami, ti sto mentendo”.
Mi strappo i vestiti con la terza e quarta mano.
Lo so io e lo sai tu, ma continui a non saperlo.
Faccio scorrere il tempo.
Sorridi.
E aspetto che menta anche tu.
Penso che mentire è come dire la verità, dipende dalle soluzioni
delle verità rispetto alle bugie.
E’ una buona scusa non pensi?
Sbatti gli occhi.
Continui a guardarmi.
Mi mordo le labbra dove solo io posso guardare.
E trattengo il mio sorriso di rabbia con dolore.
In quei momenti penso che se mi mentissi anche tu
sarebbe tutto più facile.
Ma non cambia nulla.
Ormai è passato.
Se ti stia mentendo
non mi interessa.
Le mie menzogne non sono neanche così stimolanti
e spero come un bimbo che il tuo cervello si addormenti.
Poteva essere molto meglio.
Ma anche così va bene.
Grazie alla memoria.
5nta e ultima scena: Inconsciamente
E’ come se le mie pareti si espandessero.
E poi diventassero piccole.
E poi tornassero grandi di nuovo.
E poi piccole ancora.
A piacimento.
Con sforzo.
Mentre intorno mi guardano tutti.
E mi guardi tu.
E io guardo te.
Senza che nulla accada.